IL FAST FASHION una tragedia per l’ambiente
SMETTILA DI COMPRARE VESTITI
Come il fast fashion è collegato ai problemi ambientali e quindi al cambiamento climatico? L’ultimo rapporto di Greenpeace e soprattutto cosa puoi fare tu. Te lo spiego in questo articolo.
Il cambiamento climatico, che alcuni semplicemente associano all’inquinamento ma non ne percepiscono la gravità, altri persino lo negano, è un fenomeno che sta cambiando le nostre vite. Basti pensare all’aumento di nubifragi e alluvioni nel nostro paese, dove non mancano purtroppo le vittime. Siamo abituati a vedere certe scene di alluvioni solo in altri Paesi, come il sud-est asiatico. Ma oggi non è più così. Questi fenomeni avvengono ormai dappertutto. Purtroppo per molte persone non sembra grave finché non avviene nei propri confini.
Non possiamo continuare a comportarci come se nulla fosse. Bisogna iniziare a cambiare le nostre abitudini e a smetterla di trattare questa terra come se non fosse casa nostra.
Il cambiamento climatico è una realtà innegabile e gli effetti sono sempre più evidenti: eventi meteorologici estremi, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, desertificazione e la perdita di biodiversità. Anche se c’è chi continua a negarne la gravità, non possiamo ignorare l’impatto che le nostre azioni, specialmente l’inquinamento e la deforestazione, hanno sull’ambiente.
Il problema sta nel fatto che molte persone e governi continuano a comportarsi come se questo pianeta avesse risorse infinite. Invece, è fondamentale che tutti noi cambiamo le nostre abitudini quotidiane: ridurre il consumo di plastica, limitare lo spreco energetico, adottare stili di vita più sostenibili, come ridurre il consumo di carne o utilizzare mezzi di trasporto ecologici. Questo è importante a livello individuale. Tutti noi possiamo iniziare a farlo.
A livello collettivo, occorrono politiche più forti per promuovere energie rinnovabili, ridurre le emissioni di CO2. Quindi dobbiamo prestare maggiore attenzione a questo tipo di scelte politiche quando andiamo a votare. Monitorare se chi ci governa sta andando in questa direzione o sta continuando a dare priorità al solo profitto.
Non è ancora troppo tardi per mitigare gli effetti del cambiamento climatico e preservare l’equilibrio del nostro ecosistema. Ma siamo veramente agli sgoccioli.
Di recente ho letto del rapporto “Fast Fashion, Slow Poison: The Toxic Textile Crisis in Ghana”, pubblicato da Greenpeace Africa e Greenpeace Germania. Ovvero il problema di smaltimento dei rifiuti di abiti provenienti dai paesi occidentali e destinati all’Africa.
Qui https://www.greenpeace.org/italy/storia/24717/fast-fashion-inquinamento-ghana/ puoi leggere l’intero articolo sul sito ufficiale.
Il cosiddetto fast fashion sta alimentando una crisi ambientale e sanitaria di dimensioni enormi in Ghana a causa dell’arrivo di tantissimi vestiti usati dai paesi ricchi, tra cui l’Italia. Questi vestiti, prodotti a basso costo e di scarsa qualità, da marchi come H&M, Zara, Primark e nuovi brand emergenti come SHEIN, spesso non vengono venduti e finiscono nelle discariche o vengono bruciati, inquinando il suolo e l’acqua.

L’indagine di Greenpeace, durata mesi, mette in luce l’impatto devastante che il modello del fast fashion ha su questo Paese dell’Africa. Qui ogni settimana arrivano milioni di capi che spesso finiscono in discariche, con gravi conseguenze per l’ambiente e la salute delle popolazioni locali.
L’Italia è uno dei principali esportatori di questi vestiti usati, con quasi 200 mila tonnellate inviate nel 2022. Siamo il nono esportatore globale e il terzo in Europa, dietro Belgio e Germania. Tuttavia, molti di questi capi non sono destinati a una seconda vita, ma diventano rifiuti ingombranti che aggravano una situazione già critica.
L’impatto del fast fashion non è solo ambientale, ma anche sanitario. Greenpeace ha rilevato livelli preoccupanti di sostanze tossiche nell’aria, tra cui benzene e altri idrocarburi cancerogeni. Inoltre, l’abbondanza di fibre sintetiche, come il poliestere, rilascia microplastiche che finiscono nei fiumi e nei mari. Questo aggrava l’inquinamento delle acque e danneggia l’ecosistema marino. Trasformando intere coste in “spiagge di plastica”.
Infine questa situazione è un altro esempio di squilibrio globale, di ingiustizia, ambientale e sociale, di una mentalità neocoloniale. I paesi ricchi producono troppi vestiti e trasferiscono i loro rifiuti nei paesi poveri come il Ghana, che subiscono le conseguenze. I benefici economici restano concentrati nei paesi che producono, in eccesso. Mentre quelli più poveri pagano il prezzo con il degrado ambientale e la salute delle loro comunità.
Sono necessarie azioni urgenti e mirate. In primis, Greenpeace suggerisce di vietare l’importazione di capi che non siano riutilizzabili, limitando il commercio internazionale agli indumenti che possano realmente avere una seconda vita. Inoltre, è essenziale che le grandi aziende di moda si assumano la responsabilità del ciclo di vita dei propri prodotti, incluse le fasi di smaltimento e riciclo, attraverso sistemi di “Responsabilità Estesa del Produttore” (EPR) a livello globale.
Si può dire quindi che solo un’azione decisa di cooperazione internazionale può porre fine agli effetti devastanti del fast fashion, proteggendo ambiente e comunità.
Detto ciò ti domanderai, ok quindi? Che ci posso fare?
Quello che puoi fare tu è smetterla di comprare vestiti su vestiti, di cui non hai bisogno. Tieni cura di quello che hai, compra abiti usati di buona qualità, prediligi tessuti naturali. Non preoccuparti di avere sempre qualcosa di nuovo addosso perché è solo plastica che finirà nei nostri mari e che danneggerà la nostra salute.
Dovresti evitare inoltre più possibile l’uso della plastica. Lo so sembra una retorica, ma è ancora abitudine di molti acquistare bottigliette d’acqua in plastica piuttosto che avere magari una borraccia. In Italia ancora non si è diffusa l’abitudine di andare in giro e farsela riempire, anche nei bar. Prova a farlo tu. Prova a cercare di qualsiasi oggetto la versione non in plastica, dallo spazzolino a oggetti di uso quotidiano. Dobbiamo vivere più responsabilmente.
Lo so che tutti ci aspettiamo scelte dei governi o delle grandi aziende che proteggano il pianeta, ma a parte il nostro voto, possiamo poco sulle loro azioni. Certo possiamo protestare, aderire alle grandi manifestazioni di protesta. Ma ogni giorno possiamo e dobbiamo fare del nostro meglio. Siamo tanti, sono importanti le nostre scelte e le nostre azioni quotidiane.