attenzioni o controllo

QUANDO LE ATTENZIONI E LA CURA DIVENTANO CONTROLLO

Non so perché inizio con questo tema i miei articoli sulla crescita personale, ma di recente sto lavorando molto sull’autoanalisi per comprendere alcuni comportamenti umani molto comuni. Tra questi c’è appunto il controllo, o la mania del controllo, che ha molte facce. Come vedremo in questa riflessione, può nascondersi dietro comportamenti apparentemente benevoli o comunque non negativi.

In una relazione, non necessariamente amorosa, ma anche affettiva, amichevole o parentale, il bisogno di controllo si manifesta attraverso una cura eccessiva verso l’altra persona.

Non dico che necessariamente essere molto presenti, attenti e premurosi voglia dire voler controllare. Ma si deve fare attenzione a non estremizzare questi comportamenti. Come ad esempio cercare a tutti i costi di risolvere i problemi dell’altra persona anche a costo di mettere da parte i propri. Fare di tutto perché la persona stia bene, mettere in campo tutte le proprie capacità, competenze ed energie per realizzare i desideri di lei o lui. 

Non voglio essere banale, ma il troppo stroppia. A parte creare ansie e frustrazioni per chi lo attua, spesso questo comportamento è motivato da insicurezze, paure o desideri profondi. Mira, inconsapevolmente, a portare l’altra persona alla dipendenza. Chi lo mette in pratica cerca di soddisfare in realtà i propri bisogni emotivi attraverso la relazione. 

Ci sono diverse teorie psicologiche che possono spiegare questo tipo di comportamento. Qui ne accenno brevemente due.

La teoria dell’attaccamento, di John Bowlby, sostiene che il comportamento di una persona nelle relazioni adulte è influenzato dalle sue esperienze di attaccamento durante l’infanzia. Un attaccamento insicuro (ad esempio un genitore evitante o ansioso) può portare un individuo a cercare involontariamente il controllo nella relazione per evitare l’abbandono. Questo controllo si manifesta spesso attraverso un’eccessiva cura, che però non è un atto di amore genuino, ma un mezzo per legare a sé l’altro, riducendo così la paura di essere lasciati.

La co-dipendenza invece è un modello relazionale disfunzionale in cui una persona è eccessivamente coinvolta e focalizzata sui bisogni, emozioni e comportamenti di un’altra persona, spesso trascurando i propri. La codipendenza si sviluppa spesso in relazioni con persone che soffrono di dipendenze, disturbi comportamentali o di personalità, malattie mentali, ma può manifestarsi anche in altri tipi di relazioni.

La persona codipendente spesso sente il bisogno di controllare o “salvare” l’altro. Questo può includere il tentativo di gestire i problemi della persona dipendente o malata, nel tentativo di mantenere la stabilità nella relazione. Inoltre tende a trascurare i propri bisogni emotivi e fisici, mettendo sempre l’altra persona al primo posto. Questo può portare a un esaurimento emotivo e fisico nel lungo termine.

Le persone codipendenti spesso hanno una scarsa autostima e cercano la loro identità o il loro valore personale nel prendersi cura dell’altro, per sentirsi utile e indispensabile L’autostima può essere legata al successo o al fallimento del partner.

Chi è codipendente ha difficoltà a stabilire confini chiari e salutari nelle relazioni. Possono avere difficoltà a dire di no o a riconoscere i propri diritti e bisogni.

Infine c’è anche qui la paura dell’abbandono. La persona codipendente può temere di essere abbandonata o rifiutata, il che alimenta il desiderio di compiacere l’altro o di non creare conflitti.

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Questa dinamica crea una dipendenza reciproca, dove una persona si sente potente e necessaria, mentre l’altra viene resa dipendente e passiva.

Quello che posso dire io, nella mia esperienza, è che è molto facile cadere in questa dinamica senza accorgersene. Ovviamente consiglio di parlarne con uno specialista, uno psicologo, un terapeuta. Da soli è difficile uscirne. Ma è importante prenderne consapevolezza ed iniziare a lavorarci su.

Io personalmente quando ho capito di essere una persona molto co-dipendente, ho iniziato a dire no a tutti i mie cari. Non senza un profondo senso di colpa. Ma quando inizi a vedere che gli altri possono fare a meno di te e tanto non salverai il mondo ma devi “salvare” te stessa, ti rendi conto che sei più serena. Per quanto a volte tu possa essere stata veramente utile, una parte del tuo animo è gentile, li ami e vorresti vederli felici. Ma ad un certo punto è la tua felicità che hai messo da parte. E tu non vivi di felicità riflessa. 

Questo non significa che devi smettere di essere disponibile ed amorevole, se è nella tua natura. Ma metti dei limiti, trova lo spazio per te e non fartelo invadere!

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